Antica quasi quanto la storia dell’umanità, l’arte del ricamo è una delle più istintive manifestazioni del sentimento estetico e del gusto dell’ornamento. L’andamento stilistico del ricamo fu sempre legato all’evoluzione delle arti figurative nei vari paesi e in stretto rapporto con la tessitura dalla quale difficilmente si può distinguere quando viene rappresentato nelle opere d’arte molto antiche come sculture, graffiti, ceramiche.” Dalla voce Ricamo in “Le Muse. Enciclopedia di tutte le arti”, Is. De Agostini, Novara, 1968.
Mi piace iniziare la mia riflessione sulla professione di ricamatrice con questa citazione che mette in luce quanto essa si connetta ad una lunga, antica storia e come, allo stesso tempo, sia proiettata in avanti grazie a d una inestinguibile voglia di abbellire il proprio ambiente e la propria persona.
Mi sono formata da autodidatta nell’epoca in cui non esistevano video tutorial ma una rivista che resta un punto di riferimento per gli appassionati, “Rakam” sempre ricca di idee e schede tecniche.
Nel corso degli anni ho svolto questo lavoro parallelamente agli studi in lettere; l’ambito in cui mi sono ritrovata ad operare è stato quello della biancheria su misura e del restauro dei tessili ricamati con alcune collaborazioni con atelier d’alta moda e da sposa. La moda in particolare offre interessanti sbocchi lavorativi ad un giovane che volesse avvicinarsi al mondo del ricamo a mano. Ad esempio, la Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte è un’istituzione privata no profit le cui iniziative sono finalizzate ad un “nuovo Rinascimento dei mestieri d’arte” e sono rivolte in particolare ai giovani. Ma in Italia il lavoro di ricamatrice non è adeguatamente riconosciuto, a differenza che in altri paesi europei come la Francia e l’Inghilterra dove scuole specifiche come l’Ecole Lesage e la Royal School of Needlework offrono una preparazione completa e danno prestigio a questa professione. In Inghilterra inoltre esiste una sorta di sindacato, l’Embroiderer’s Guild, il cui sito si pone come “la voce internazionale del ricamo”, ed è ricchissimo di sezioni e materiali.
Inutile nascondere che le difficoltà di questo lavoro sono molteplici. La fase propriamente creativa, ideativa, prende una minima parte del tempo di lavoro, che è quasi del tutto occupato da attività a volte ripetitive e fisicamente molto intense, e questo, soprattutto all’inizio, può rendere difficile trovare la giusta motivazione per andare avanti. Tutto il lavoro certosino, solitario che sta dietro un capo finito può essere paragonato agli esercizi di solfeggio e alle scale che bisogna ripetere prima di poter suonare quel brano che tanto amiamo e che magari è stato la ragione per cui abbiamo scelto uno strumento piuttosto che un altro.
Le ore trascorse al tavolo da lavoro hanno un impatto su schiena, occhi, mani, e ciò che posso consigliare è cercare di allenarsi con costanza, ad esempio con una ginnastica dolce o il nuoto che possono essere di grande aiuto per mantenere il corpo elastico, prevenire contratture e ovviamente scaricare lo stress.
A volte la mia professione sembra del tutto fuori dall’epoca in cui vivo, anzi, in conflitto con essa. Questo, nella mia personale esperienza è stato e a volte è tuttora, il principale ostacolo che trovo sulla mia strada: ricamare, e soprattutto ricamare a mano come nel mio caso, vuol dire, per forza di cose, rallentare; non sempre il riconoscimento per la durezza di questo lavoro arriva, anche in termini economici, e men che meno esistono tutele. Eppure quando rifletto sugli aspetti etici e di ecosostenibilità di questa professione antica, la guardo in un’ottica di assoluta attualità, anzi di necessità. Una piccola produzione artigianale di capi unici creati in laboratori a volte a conduzione familiare come ne esistono ancora in Italia, è lontanissima dalla logica di sfruttamento di mano d’opera a basso costo come purtroppo avviene nei paesi in via di sviluppo, e non solo, direi. Restaurare un capo e riutilizzarlo, inoltre, non è affatto un’operazione di nostalgia visto che a volte il valore oggettivo di alcuni capi è molto alto, ma è anche una scelta estremamente green, poiché permette di riciclare tessuti e dunque risparmiare preziose risorse naturali.
Qualche tempo fa ho visto un film Bright star, della regista Jane Campion, la cui protagonista, Fanny Brawne, un personaggio realmente esistito, amica e musa del poeta John Keats, è una giovane donna appassionata; Fanny, attraverso il cucito e il ricamo esprime tutta la sua creatività e unicità, e conquista anche una fiera autonomia economica, del tutto impensabile per una donna del suo tempo. Nel film, secondo Fanny :”Una cosa bella è una gioia per sempre; la sua grazia aumenta, non trapasserà mai nel nulla”. E forse è proprio di questo che abbiamo un particolare bisogno nel nostro tempo.